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Un’incostituzionalità urlata

E’ davvero deprimente assistere allo spettacolo offerto in questi giorni e in queste ore dal governo guidato da Silvio Berlusconi; la pressione di un potere tanto influente da rendere irrilevanti i sondaggi che danno una preponderante maggioranza degli italiani (54% contro 30%) favorevole alla fine delle cure per la povera Eluana Englaro, il premier e il ministro Sacconi partoriscono un decreto legge, che dopo il doveroso rifiuto della firma da parte del presidente Napolitano, diventa un disegno di legge.

Si supera l’ostacolo della necessità ed urgenza, ma l’incostituzionalità della norma rimane.

Questo è il testo dell’ex bozza decreto oggi disegno di legge:

In attesa dell’approvazione della completa e organica disciplina legislativa sul fine vita alimentazione e idratazione in quanto forme di sostegno vitale e fisologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi

A parte il fatto che, come viene insegnato al primo anno della facoltà di giurisprudenza, le leggi devono essere generali ed astratte, e non risolvere un singolo caso concreto, la norma è in evidente contrasto con agli art. 13 e 32 della Costituzione, che sono alla base del diritto di ogni persona all’autodeterminazione e alla piena libertà di scelta in ambito sanitario, che come ha precisato la Corte di Cassazione non si ferma nemmeno di fronte al sacrificio del bene supremo della vita.

Così com’è la norma, che non è riferita ai soli soggetti incapaci, ma a tutti coloro che non sono in grado di provvedere a sé stessi, è manifestamente incostituzionale.
Un’incostituzionalità urlata, e che urta la sensibilità giuridica come quella comune; vogliamo forse un governo che ci obbliga a curarci anche se non lo vogliamo?

Speriamo che nella coscienza dei parlamentari prevalga la ragionevolezza, e che nel segreto dell’urla ognuno dei deputati e dei senatori voti come ritiene giusto, e non come gli viene chiesto (o imposto).

Il legislatore inconsapevole

Purtroppo o per fortuna nel nostro paese le riforme sono introdotte da giudici innovatori oppure avvengono per caso.  Il parlamento approva una legge per fini spesso di natura squisitamente politica, che poi vengono dimenticati, ma intanto la legge è approvata e pian piano i suoi effetti pervadono l’ordinamento, mentre l’accorto (?) legislatore se n’è già dimenticato.

Vi ricordate la riforma del Titolo V della Costituzione, approvata dall’Ulivo nel 2001?  Era una riforma meta (para, semi, finto) federalista, che fu poi approvata da un referendum nell’indifferenza di tutti.  “Tanto”, dissero i politici di centrodestra, nella prossima legislatura faremo noi la nostra riforma, con la devolution, etc., etc.                                        

Peccato (o per fortuna)  questa riforma non superò la prova del referendum, e rimase la “vecchia” riforma del Titolo V.   Tra i vari articoli della nuova costituzione, c’è l’art. 117, che tra l’altro dice che lo Stato e le Regioni legiferano “nel rispetto… dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

Il legislatore non se n’era accorto, tutto preso da regionalismo e federalismo, ma aveva introdotto, accanto al limite della costituzionalità delle leggi, quello della convenzionalità.

Lo ha stabilito la Corte Costituzionale nella sentenza 348/2007 la quale afferma che dopo questa riforma costituzionale le leggi italiane, oltre a dover rispettare la Costituzione, devono rispettare le norme dell’ordinamento dell’Unione Europea e quelle di convenzioni internazionli, come la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. E’ una buona cosa?  Probabilmente sì, perché i vincoli di natura comunitario e internazionale potranno (forse) proteggerci da un legislatore così disattento.